Doc Monreale, il “vigneto di Palermo” tra nuovi scenari e opportunità

Doc Monreale, il “vigneto di Palermo” tra nuovi scenari e opportunità

Palermo – Doc Monreale, si riparte. Questa volta si punta alla semplicità e all’identità territoriale. Ecco così che dopo anni di riflessione e confronto tra i diversi attori della filiera vitivinicola, la Doc Monreale da “anonima” e ripetitiva elencazione di quasi tutti i vitigni coltivati in Sicilia, prende corpo e vigore da poche varietà che nell’immutato areale delimitato quando venne riconosciuta nel 2000, riescono ad esprimere caratteristiche uniche. 

Ma il nuovo corso della Doc Monreale non consiste solo in quello che viene messo in bottiglia. Per le aziende che hanno aderito al nuovo progetto – al momento sono otto – non si tratta di un semplice progetto legato al mondo della vitivinicoltura, bensì di un percorso di crescita complessivo che strizza l’occhio all’esperienza dell’enoturismo e ai luoghi della cultura e dell’arte. Se n’è parlato nei giorni scorsi durante l’evento promosso dalla Doc Monreale negli spazi dell’Orto Botanico di Palermo, realizzato in partenariato con la Cia Sicilia Occidentale, nell’ambito della misura, Psr Sicilia 2014-2022, Sottomisura 3.2 dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura. 

Nell’ambito dell’iniziativa che si è svolta nella Sala Lanza dell’Orto Botanico è stato possibile esplorare la denominazione più estesa della provincia tra accordi strategici, un rinnovato disciplinare di produzione e una pregiata carta dei vini.

Una Doc rinnovata che parte da otto cantine

Alessandro di Camporeale, Case Alte, Feudo Disisa, Marchesi de Gregorio, Porta del Vento, Principe di Corleone, Sallier de La Tour e Terre di Gratia sono queste finora oggi le aziende aderenti a un progetto guidato dal Consorzio di tutela dei vini Doc Monreale e dal suo consiglio di amministrazione, presieduto da Mario Di Lorenzo e mirato a diventare un punto di riferimento per tutti i produttori che, condividendo uno standard qualitativo dei vini, possano insieme presentarsi alla ristorazione qualificata, ai consumatori e winelover, al sistema turistico e a tutti gli attori che – tra pubblico e privato – vogliono fare rete e condividere le giuste azioni di promozione e sviluppo che possono accrescere il valore dell’esperienza offerta e l’attrattività della destinazione.

Dai vigneti alla tavola, un’associazione di idee, di valori e di bellezza che non intende però fermarsi al calice: il vino come elemento di complicità con altri tesori della città di Palermo e la sua provincia, ereditati dall’incontro di culture ed esistenze del passato. Da Monreale e Cefalù, da Solunto e Cefalà Diana: i gioielli arabo-normanni, le aree archeologiche, i musei sparsi nella provincia sono l’anima di un territorio che guarda più che mai a inedite sinergie, rientrando in un’esplicita prospettiva di valorizzazione enoturistica della Doc Monreale.

Tre vitigni identitari e quattro tipologie di vino per la Doc Monreale

Vertici del Consorzio e produttori hanno approfondito i valori distintivi di un tessuto produttivo dove si riconferma l’impegno per l’eccellenza con l’entrata in vigore del nuovo disciplinare, volto a valorizzare i vitigni più identitari della Doc e potenziare la verticalizzazione e specializzazione produttiva delle aziende puntando su tre vitigni tanto identitari quanto contemporanei: gli autoctoni Catarratto e Perricone, e il Syrah, “il più siciliano degli internazionali”, come sottolineato da Andrea Amadei, ospite d’eccezione dell’incontro.

Nel dettaglio, il disciplinare stabilisce: Monreale Bianco, che prevede un minimo del 60% di Catarratto, integrato da Inzolia fino al 40%; Monreale Rosso, compreso il Riserva, richiedente almeno il 60% di Perricone, accompagnato da Calabrese o Nero d’Avola; Monreale Rosato che segue la stessa composizione del rosso, con il Perricone al 60% e il Calabrese o Nero d’Avola a completare; infine
Monreale Syrah, nelle versioni rosato o riserva, che impone un minimo dell’85% di Syrah. Per mantenere alti i livelli qualitativi, la resa delle uve non dovrà superare il 70%. I vini rossi Riserva, in particolare, devono essere invecchiati per almeno 24 mesi, un processo che ne esalta le caratteristiche organolettiche e la complessità. Infine, ogni bottiglia Doc Monreale riporterà obbligatoriamente l’annata di produzione, per offrire ai consumatori una chiara tracciabilità e un legame diretto con il territorio.

Areale di produzione immutato

Immutato l’areale della Doc che è rimasto quello definito nel 2000.Si distingue l’areale a Sud della provincia di Palermo che si spinge sino a Corleone e Roccamena, entra nell’Alto Belìce con i comuni di Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela e, risalendo verso Nord, a caratterizzare buona parte del monrealese, un’area vastissima, che riproduce l’estensione dell’antica diocesi istituita dai re normanni. Territori di media e alta collina, con suoli prevalentemente argillosi e di medio impasto (ma talvolta anche sabbiosi e con molto scheletro), pendenze e microclimi in grado di diversificare notevolmente, sulla stessa varietà coltivata, i vini oggi prodotti.

Il “vigneto di Palermo” punta in alto

Una viticoltura di qualità e stili produttivi differenziati da cantina a cantina che Andrea Amadei, il celebre sommelier “radiofonico”, ha selezionato e reso protagonisti di una masterclass di alta gamma, per condividere le specificità espressive gusto-olfattive di ciascun vino proposto e la straordinaria rappresentatività varietale. Otto le etichette proposte in degustazione. Tutte scelte tra le sedici inserite nella Carta dei Vini della Doc Monreale, capaci di incarnare al meglio il vigneto di Palermo e appannaggio dei suoi ristoratori.

«Scommettiamo sul futuro investendo in radici, terroir, ristorazione qualificata, beni culturali», sottolinea Mario Di Lorenzo. «Le cantine del Consorzio si trovano a pochi chilometri da Palermo; siamo circondati da paesaggi incontaminati, bellezze senza tempo, comunità che profumano di genuinità. Oggi più che mai – conclude – dobbiamo fare squadra, lavorare all’unisono per potenziare l’identità di un territorio di grande respiro, da riscoprire dentro e fuori i nostri calici».

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