Archeo-olivicoltura a Selinunte, così nasce l’olio bio del parco

Andrà in latte da mezzo litro e sarà etichettato come “olio da oliveti monumentali”. Si tratta dell’extravergine biologico che, a partire dalla campagna olearia 2023, si otterrà dai 18 ettari popolati da olivi saraceni che si trovano all’ombra dei templi e delle rovine di Selinunte.
La prima raccolta è attesa per ottobre. A partire dallo scorso anno gli operai dell’azienda agricola Centonze che ha avuto in concessione per sei anni l’oliveto di Selinunte, hanno rimesso in produzione gli olivi secolari abbandonati che si trovano all’interno del più vasto parco archeologico d’Europa. Dapprima la pulizia dell’areale da tronchi e rami secchi e poi la potatura. Un intervento radicale sui tre appezzamenti, di cui uno addossato al tempio E, per un totale di 1.500 piante di olivi della cultivar Nocellara del Belìce.
La coltivazione degli antichi oliveti si basa principalmente sul mantenimento e la cura delle piante e del paesaggio attraverso un recupero non invasivo dei luoghi. Viene adottato il sistema di coltivazione biologico, si recuperano le antiche pratiche agricole e si rispettano le politiche di valorizzazione e restauro dell’intera area agricola. Qui, In una sola parola, si pratica l'”archeo-olivicultura”.
Per Nino Centonze, titolare dell’omonima azienda agricola e dell’agriturismo “Case di Latomie” coltivare gli olivi del parco archeologico è come chiudere una filiera oleoturistica di altissimo livello che coniuga l’olivicoltura con la fruizione del patrimonio archeologico.All’interno dell’azienda agricola Centonze che si trova a pochi chilometri da Selinunte, si trovano, infatti, le latomie (le cave) da dove veniva estratta la roccia per la costruzione dei templi. «Così – afferma Centonze – insieme a un buon prodotto offriamo ai nostri clienti anche la visita a questo territorio straordinario con le vestigia di tempi remoti».
Nel Parco archeologico di Selinunte da anni si moltiplicano le iniziative per rimettere in produzione gli spazi verdi incolti. Ampi lotti di seminativo nella zona della Malophoros sono attualmente gestiti dal Consorzio “G.P. Ballatore” e custoditi dal mugnaio castelvetranese Filippo Drago che ha seminato antichi grani (Timilia, Maiorca e Perciasacchi) per poi farne farina e pasta a marchio Selinunte. Da un anno, poi, è stato dato spazio anche all’apicoltore Vito Salluzzo che all’interno del parco archeologico ha posizionato un apiario con 40 arnie.
«Nell’ottica di arricchire l’offerta ai visitatori ma anche di riprendere la storia dell’antica città dove esistevano certe colture in alcuni spazi dell’area extraurbana – spiega il direttore Felice Crescente – da alcuni anni portiamo avanti un progetto di rivalutazione dei terreni incolti che si trovavano all’interno del parco archeologico».
Si è arrivati cosí a proporre un vero e proprio paniere targato Selinunte: a farina, semola, pasta e miele, quest’anno si aggiungerà, dunque, l’olio extra vergine d’oliva prodotto dagli ulivi a ridosso dei templi. Con un’etichetta che richiama le colonne antiche, in parte, sarà inserito nei circuiti commerciali dell’azienda agricola Nino Centonze che esporta già in 35 paesi.