Pezzatura piccola e domanda stagnante mettono in crisi le arance rosse

Pezzatura piccola e domanda stagnante mettono in crisi le arance rosse

Dopo un 2020 dai risultati eccezionali, il 2021 ha riportato le arance rosse siciliane nel tunnel della crisi. L’annata che è ormai agli sgoccioli, tra fattori climatici ed emergenza sanitaria Covid-19, è stata particolarmente difficile e sulle piante sono rimaste tonnellate di arance. Arance che dovranno comunque essere raccolte e smaltite nonostante il mercato sia fermo.

Il copione si ripete: ogni volta che il mercato non premia la produzione siciliana, gli agrumicoltori si rivolgono alla Regione perchè li aiuti a trovare uno sbocco alternativo. Ne parleranno con il governatore Nello Musumeci e l’assessore all’Agricoltura Toni Scilla Cia Sicilia Orientale, Confagricoltura Catania e FruitImprese che hanno chiesto di potere incontrare urgentemente i vertici regionali.  

A lanciare l’appello sono stati i rappresentanti delle organizzazioni di categoria e delle imprese della filiera agrumicola, Giuseppe Di Silvestro (Cia Sicilia Orientale) Giovanni Selvaggi (Confagricoltura Catania) e Placido Manganaro (Fruitimprese Sicilia) che ieri nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta nella sede del Consorzio Arancia Rossa hanno rivolto un accorato appello: «Abbiamo necessità di smaltire tonnellate di arance ancora sugli alberi, ma la domanda langue. La Regione intervenga per concordare con le industrie un ritiro straordinario. In alternativa, si diano in beneficienza, ma non si lascino marcire». 

Insomma è di nuovo crisi con centinaia di produttori e di imprese di trasformazione del territorio etneo si sono ritrovati con una produzione di arance in esubero che, a causa della scarsità di piogge a settembre, è stata spesso caratterizzata da pezzatura piccola e per questo destinata alle imprese di trasformazione. A questo deve aggiungersi la contrazione dei consumi determinata dalla chiusura di bar, ristoranti, mense scuola e alberghi, che a causa della pandemia, si protrae ormai da un anno.

«Intervengano i governi, sia regionale che nazionale – ha chiesto il presidente Cia Sicilia Orientale Giuseppe Di Silvestro – per lavorare su prospettive future di tutela e sviluppo del comparto».

«L’agrumicoltura – ha sottolineato Giovanni Selvaggi – va avanti senza aiuti, continua a fare investimenti e a garantire, in controtendenza rispetto ad altri settori, la tenuta economica ed occupazionale del nostro territorio». Poi Selvaggi aggiunge: «Chiediamo regole, norme, programmazione e un nuovo modello organizzativo. Serve il catasto agrumicolo e accordi con Paesi terzi che tengano conto del fatto che i nostri costi di produzione sono di gran lunga superiori ai loro».

E se i produttori hanno di che lamentarsi, nemmeno gli altri attori della filiera sono tranquilli. Afferma Placido Manganaro: «Anche la filiera intermedia di trasformazione è in emergenza. La Sicilia soffre di un gap strutturale che si traduce in maggiori costi di trasporto, al quale si aggiunge quello più generale, del costo del lavoro e dei contributi previdenziali, di molto superiori a quelli sostenuti dai nostri competitors europei».

«Al Governo Draghi che si è appena insediato – ha dichiarato Di  Silvestro –  chiediamo fatti concreti e la necessaria attenzione per il comparto agrumicolo. Potrebbe cominciare con l’eliminare l’ingiustizia appena subìta dai produttori di arance a cui Agea ha riconosciuto solo 25 mila euro di contributo in regime di “de minimis” a fronte di centinaia di migliaia di euro spesi per la riconversione degli agrumeti flagellati dal virus Tristeza». «All’agrumicoltura colpita dalla Tristeza dallo Stato – ha concluso il presidente della Cia Sicilia orientale – sono arrivati in tutto solo 8 milioni di euro, mentre per fronteggiare l’emergenza della Cimice asiatica che ha colpito le regioni del Nord sono stati assegnati ben 80 milioni di euro». Due pesi e due misure, insomma, e niente di nuovo sotto il sole.

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