Aree interne: no alla resa del Governo. Servono investimenti, non abbandono

Aree interne: no alla resa del Governo. Servono investimenti, non abbandono

Nel nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne 2021-2027 (P-SNAI), il Governo italiano sembra arrendersi di fronte alla sfida dello spopolamento dei piccoli comuni montani e rurali. A pagina 45 del documento ufficiale, si legge chiaramente che molte di queste aree – circa 4.000 comuni italiani – non possono più porsi l’obiettivo di invertire il declino demografico, ma al massimo essere accompagnate in un “percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”.

Una frase che suona come una condanna, una resa inaccettabile. E infatti non sono mancate reazioni durissime, come quella dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio, che riunisce numerosi comuni vocati all’olivicoltura di qualità. Il presidente Michele Sonnessa parla senza mezzi termini di “scelta scellerata” e chiede alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di chiarire le reali intenzioni del Governo. «Non possiamo assistere inermi allo smantellamento dei presìdi rurali – afferma – né tollerare una visione miope che considera le nostre comunità come territori sacrificabili».

Una strategia fallimentare

Il concetto alla base del nuovo P-SNAI – quello di un declino “irreversibile” – è pericoloso per almeno tre motivi.

Primo: ignora il potenziale reale delle aree interne. In molti di questi territori si producono eccellenze agroalimentari, a partire dall’olio extravergine di oliva, simbolo della dieta mediterranea e ambasciatore del Made in Italy. La loro qualità ambientale, la biodiversità e il patrimonio culturale offrono opportunità per modelli di sviluppo sostenibili, incentrati sull’agricoltura di qualità, il turismo lento e la valorizzazione delle filiere corte.

Secondo: contraddice i principi costituzionali di coesione territoriale e uguaglianza tra cittadini. Considerare alcune comunità come condannate al declino significa accettare la marginalizzazione di intere fasce della popolazione. Un Paese civile non può permettersi di lasciare indietro nessuno, tanto meno chi vive in territori che garantiscono la sicurezza alimentare, la gestione forestale e la tutela del paesaggio.

Terzo: la linea adottata è incoerente con gli obiettivi della transizione ecologica. Mentre si promuovono a parole l’agricoltura sostenibile e il contrasto al consumo di suolo, nei fatti si autorizzano trasformazioni radicali del paesaggio agricolo, sostituendo uliveti e campi con distese di pannelli fotovoltaici e pale eoliche industriali, spesso senza una reale pianificazione territoriale e senza coinvolgimento delle comunità locali.

Le alternative ci sono

La visione proposta dalle Città dell’Olio è diversa: invece di accompagnare le aree interne verso la decadenza, bisogna investirci, rigenerarle, valorizzarne le risorse uniche. Serve un Piano Nazionale di Rinascita delle Aree Interne basato su:

  • sostegno concreto all’olivicoltura e alle filiere locali agroalimentari di qualità;
  • incentivi alla residenzialità e alla nascita di nuove imprese agricole e turistiche;
  • miglioramento dei servizi pubblici (scuole, sanità, trasporti) per rendere attrattivi i piccoli comuni;
  • promozione del turismo esperienziale, culturale e ambientale;
  • difesa del paesaggio rurale come bene comune e valore economico.

Esempi virtuosi non mancano. Progetti di cooperazione territoriale, agricoltura sociale, bio-distretti e comunità energetiche locali stanno dimostrando che un futuro nelle aree interne è possibile – a patto che ci sia volontà politica e un disegno coerente.

Una questione nazionale

Il tema dello spopolamento non riguarda solo le comunità coinvolte. Il depauperamento delle aree interne ha conseguenze gravi anche per il resto del Paese: perdita di biodiversità, dissesto idrogeologico, aumento della pressione urbana, minore sicurezza alimentare. Abbandonare le campagne significa anche rinunciare a una parte della nostra identità e delle nostre radici culturali.

Recentemente l’Istat ha ricordato come negli ultimi 20 anni l’Italia abbia perso oltre 3 milioni di abitanti nelle zone montane e rurali. Un esodo silenzioso, aggravato dalla mancanza di opportunità lavorative, di connessioni infrastrutturali adeguate e di servizi essenziali. Eppure, proprio durante la pandemia, in molti hanno riscoperto il valore della vita nei piccoli borghi, la resilienza delle comunità locali, la ricchezza di un’economia più lenta ma più sostenibile.

“Il Governo – si legge nella nota diramata dall’associazione Città dell’Olio – dica quali sono le sue reali intenzioni: mentre ci si lamenta dello spopolamento si continuano a smantellare i presìdi rurali; mentre si invoca la transizione ecologica si autorizza la trasformazione dei suoli agricoli in deserti industriali di pannelli e pale. Noi diciamo, basta con le ambiguità: serve un Piano Nazionale di Rinascita delle Aree Interne fondato sull’agricoltura, sull’olivicoltura di qualità, sulla tutela del paesaggio e su nuove forme di economia leggera, turistica, culturale e sostenibile”.

Arrendersi allo spopolamento equivale a certificare il fallimento delle politiche territoriali degli ultimi decenni. Ma questo esito non è inevitabile. Al contrario, con investimenti mirati, governance multilivello e il protagonismo degli attori locali è ancora possibile invertire la rotta.

Il Governo dovrebbe cogliere questa occasione per riscrivere la narrazione sulle aree interne: da luoghi in declino a laboratori di innovazione sociale, ambientale ed economica. È il momento di cambiare passo. Non per salvare il passato, ma per costruire un futuro condiviso e sostenibile.

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