di Salvatore Ferrara* e Mario Francesco Milia*
Accade di frequente che dopo qualche mese, o addirittura qualche anno, dall’acquisto delle piantine, l’imprenditore agricolo venga raggelato da una brutta sorpresa: le piantine acquistate non rispondono alle caratteristiche promesse. Mesi o anni di coltivazione, in attesa dei frutti sperati, con i relativi costi, vanno così in fumo. In questi casi, che cosa si può fare per avere risarcito il danno? E che tempi ci sono per avviare l’azione? Quali sono le prove da portare?
La prima cautela da adottare è quella di conservare una rigorosa tracciabilità delle piantine vendute. Dalla fattura di acquisto, al documento di trasporto fino all’impianto sul fondo. Quindi è bene conservare tutti i documenti e realizzare anche dei video e/o tenere memoria scritta dei soggetti che hanno effettuato l’impianto. Senza una tracciabilità rigorosa, il venditore può avere buon gioco a sostenere che non vi è certezza che le piantine incriminate siano proprio quelle da lui fornite.
Per quanto riguarda i tempi dell’azione, ciò dipende dalla gravità del vizio. I fornitori di solito eccepiscono la decadenza dall’azione invocando l’applicazione dell’art. 1495 c.c., 3° comma, che prevede tempi strettissimi (otto giorni dalla scoperta per denunciare i vizi e un anno per la prescrizione dell’azione). In realtà, tale norma riguarda i vizi della cosa. Molto spesso però non si tratta di vizi di qualità delle piantine vendute ma di “varietà”. Ad esempio, una cosa è la pianta di arancio “Tarocco” mentre altra cosa è la “Washington Navel”; un conto è una pianta di comune melograno, altro è una pianta di varietà “Wonderful”. In altri casi ancora la pianta corrisponde alla varietà promessa ma, magari a causa di una virosi, è del tutto inidonea a produrre risultati. In tutte queste ipotesi più che nei vizi della cosa venduta rientriamo in un’altra fattispecie: la vendita di una cosa per un’altra (aliud pro alio). In questo caso, secondo la Cassazione il termine di prescrizione è decennale.
Ma come dimostrare che le piantine non appartengono alla varietà promessa? E qual è la via più rapida per agire in giudizio? Il suggerimento è quello di una consulenza tecnica preventiva. Un accertamento tecnico disposto dal Tribunale su richiesta della parte con incarico tecnico esteso, oltre che agli accertamenti tecnici, alla conciliazione tra le parti. È bene partire con una perizia di un consulente di parte che descriva con chiarezza, citando fonti bibliografiche, i termini della questione. L’accertamento può avvenire su base morfologica ma in alcuni casi anche attraverso una indagine genetica sui campioni.
Ma che tipo di danni chiedere, oltre alla risoluzione del contratto con la restituzione del costo sostenuto? Il danno patrimoniale conseguente alla vendita si compone del danno emergente (i costi per la coltivazione che non ha dato i frutti attesi) e del mancato guadagno che si sarebbe ottenuto se le piante vendute fossero state corrispondenti alle caratteristiche promesse. A ciò si può aggiungere anche il danno derivante dalla lesione della reputazione commerciale.
La rilevanza del rischio, tanto per l’imprenditore agricolo quanto per il vivaista a sua volta fornito da altri soggetti, suggerisce di valutare la stipula di una polizza assicurativa e di assumere adeguate referenze sul fornitore e ciò tanto più in un mercato sempre più globalizzato.
* Avvocato, www.studiolegalesalvatoreferrara.it
